Arte contemporanea: ricetta per l’uso

L’arte contemporanea è il mio grande amore e come ogni storia d’amore che si rispetti è stata tormentata e meravigliosa. Frequentavo il primo anno di scuola media quando, insieme ai miei genitori,  visitai la Fondazione Joan Mirò a Barcellona. Mi è sempre piaciuto passeggiare per i musei, anche se mi annoiava leggere quei continui cartelli di divieto: ogni tanto infatti avrei voluto nascondermi in un angolo e rimanere lì fino alla chiusura. Ero assolutamente convinta che le opere si sarebbero svegliate, vivendo avventure a dir poco incredibili, e non vedevo l’ora di mettermi a giocare con loro. Purtroppo però a 11 anni difficilmente i genitori ti perdono d’occhio così sono stata costretta a passeggiare al loro fianco, innamorandomi dei disegni di Mirò.

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@Joan Mirò

I colori e le forme delle sue tele mi avevano completamente conquistata: le sue composizioni, nella mia mente, si trasformavano in soggetti che vivevano continue metamorfosi. Come quando ti diverti a giocare con le nuvole in cielo, lasciando la fantasia libera di galoppare indisturbata. Le voci di alcune persone intorno a me però si sono fatte piuttosto insistenti e la frase che più mi è rimasta in mente è stata questa:” Che cosa ci troverà la gente in Mirò: i suoi scarabocchi li avrei potuti fare io“. Ecco questa frase è diventata per me un must have irrinunciabile: sono pochi i musei d’arte contemporanea che ho visitato in cui non mi sia capitato di sentir ripetere questa frase da qualche visitatore.

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L’arte contemporanea non è immediata: devi prenderti del tempo per scoprirla. Un amore che si svela piano piano, conquistandoti poi in modo esplosivo. Fotografie, installazioni, video e tele: ogni oggetto può trasformarsi in qualcosa di sublime, comunicandoti un’emozione o una suggestione. Non è più il valore estetico l’ago della bilancia: ciò che conta è la sensazione che ti prende lo stomaco quando osservi un’opera o assisti ad una performance. Non più prospettive geometriche e composizioni, ma una comunicazione più spinta di ciò che abbiamo all’esterno e all’interno di noi stessi. Per questo motivo tendo a dire che l’arte contemporanea va oltre la bellezza: nella maggior parte dei casi infatti non è questo il suo obiettivo.

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@Yayoi Kusama

Emozionare, spaventare, far riflettere, infastidire: comunicare qualcosa allo spettatore instillando in lui qualcosa di nuovo. Quando esci da un museo di arte contemporanea non potrai mai essere la stessa persona che ha varcato la soglia: qualche piccolo pezzettino di te si sarà magneticamente incollato ad un’opera e tu non potrai fare a meno di rifletterci. Certo, il ruolo del visitatore è cambiato e richiede uno sforzo maggiore rispetto a prima: devi interpretare ciò che ti vuole dire l’artista, costruendo un dialogo silente ma biunivoco.

I tagli di Lucio Fontana, gli squali di Damien Hirst, le linee nere di Franz Kline e i pois di Yayoi Kusama non sono gesti casuali e di certo né tu né io, in quello specifico momento storico, saremmo stati in grado di fare la stessa cosa. O altrimenti l’avremmo fatta. Forse un dripping alla Pollock potevamo farlo anche noi, ma in sostanza non lo abbiamo fatto. Pollock non aveva nessun Pollock davanti a sé da imitare, ma non ha avuto paura della tela bianca: da lì ha iniziato a creare ed è diventato uno degli artisti più importanti mai vissuti.

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@Jackson Pollock

Come ha perfettamente spiegato Francesco Bonami, nel suo libro “Lo potevo fare anch’io. Perché l’arte contemporanea è davvero arte“, di artisti buoni e di fuffaroli è pieno il mondo. L’arte contemporanea, eccentrica e comunicativa, ha creato un esercito a sua difesa e a sua distruzione: i fuffaroli purtroppo sono coloro che si riempiono la bocca con lezioni di vita e di arte quando in realtà non hanno nessun barlume creativo. Tutta aria e niente sostanza, ma alcuni l’hanno fatta franca e chi ci ha rimesso è stata l’arte contemporanea. Ma è troppo facile accusarla di aver aperto la porta dell’inferno: i tarocchi sono sempre esistiti e sempre esisteranno.

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La responsabilità del visitatore è mantenere un occhio critico e porsi delle domande. A volte però, lo sappiamo, darsi delle risposte implica la fatica di un ragionamento: sarebbe più semplice trovare qualcosa di già pronto per essere servito. Ed ecco la scatoletta perfetta: “Ma lo potevo fare anche io“. No, non avresti potuto ma è più semplice pensarlo: capire le linee nere di Franz Kline implica leggere e informarsi sulla sua vita e la sua evoluzione. Sulla terribile malattia di sua moglie e su come l’abbia svuotata fino a trasformarla in una linea violenta e rabbiosa su una tela.

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@Franz Kline

L’arte contemporanea può essere fuffa, ma può essere anche sublime: può dare le risposte che cercavi e può instillare domande a cui dovrai un giorno rispondere. Grazie a lei ho imparato a conoscere i meravigliosi omini di Keith Haring, la cultura afroamericana di Jean Michel Basquiat, il caos creativo di Yayoi Kusama, le installazioni visionarie di Christo e Jeanne Claude, il tetro Damien Hirst e molti altri artisti che in un modo o nell’altro hanno condizionato il mio immaginario, arricchendolo di note lievi e stonate.

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Contraddittoria e carismatica, violenta e salvifica, l’arte contemporanea vale lo sforzo che dovrai fare per conoscerla: vale la pena visitare i musei, guardare installazioni apparentemente incomprensibili e perdere alcuni minuti a cercare di decifrarle. Può essere un’amante offensiva e sgarbata, ma sarà in grado anche di diventare la tua amica più intima e quando capiterai davanti ad un’opera e scoprirai che l’artista ha ideato e trasformato in realtà qualcosa che tu sentivi da giorni, ma non riuscivi a spiegarti, sarà proprio allora che non vorrai più separarti da lei.


Ph copertina: Lucio Fontana

 

Un commento su “Arte contemporanea: ricetta per l’uso

  1. andrea ha detto:

    é propio vero!

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