Museo della Merda a Piacenza: perché vale la pena visitarlo?
Esiste un museo, curioso e originale, circondato da ettari di terreno e più di tremila bovini: è nato dalla volontà del proprietario, un agricoltore che ha sapientemente coniugato il suo lavoro con la passione per l’arte contemporanea. Di questo luogo hanno parlato in molti, non solo i media nazionali ma anche i più prestigiosi quotidiani internazionali, facendolo approdare persino sulle pagine del New York Times. Ti sto parlando del Museo della Merda a Piacenza e di Gianantonio Locatelli, colui chi l’ha fortemente voluto contro qualsiasi previsione avversa: qui ti racconto il suo concept di riciclo innovativo e perché ti consiglio di visitarlo!
Museo della Merda Piacenza e il suo riciclo innovativo
Il Museo della Merda a Piacenza è stato aperto nel 2015, dopo che l’idea aveva stuzzicato per lungo tempo il suo fondatore: nel complesso in cui è stato creato vengono prodotti 500 quintali di latte destinati alla produzione di Grana Padano che ne fanno una delle maggiori aziende del territorio e altrettanti quintali di letame. Per ovviare al problema dello smaltimento delle deiezioni, Locatelli ha deciso di mostrare al pubblico il proprio progetto ecologico e innovativo, iniziato ricavando energia dallo sterco: oggi ne ricava fino a 3 megawatt all’ora, utili a riscaldare gli uffici e le stanze dell’abitazione. Ma non solo! Energia a parte, l’attenzione se l’è meritata producendo oggetti di design, con un metodo brevettato da lui stesso, di cui ti racconterò più avanti.
@Carlotta Baletra, Museo della Merda
Museo della Merda Piacenza, tra storia e artisti
L’idea di raccontare un prodotto così poco elevato e portarlo in un museo è un progetto unico, frutto di molte riflessioni. Il Museo della Merda si trova a Castelbosco, una frazione alle porte di Piacenza in cui trova sede presso la rocca tardo medievale. Prima di iniziare la visita, è doveroso fare due cenni riguardo al progetto culturale.
Gianantonio Locatelli ha deciso personalmente quali artisti scegliere, essendo un grande appassionato d’arte: molti tra quelli selezionati risalgono agli anni ’70, periodo ritenuto da Locatelli più denso di ricerca concettuale. Uno dei primi artisti chiamati ad interpretare il progetto del Museo è stato David Tremlett: con le sue composizioni geometriche colorate e verbo-visuali ha trasformato i silos e le stalle dell’azienda rendendoli un esempio di land art, creando un ponte “artistico” tra la realtà produttiva dell’azienda e le sale del Museo. I bozzetti del progetto si possono vedere in una sala interna e la scritta che accoglie i visitatori all’ingresso (“Perché buttarla se puoi riusarla?”) è stata concepita dallo stesso Tremlett.
Natura, arte e tecnologia qui collaborano in perfetta sintonia. Allontanandosi dalle stalle, si percorre un viale circondato da un prato che porta all’ingresso della rocca: il panorama è magnifico e se deciderai di visitarlo in autunno sarai immerso nell’atmosfera tipica della pianura padana, con la nebbia che sale dai campi e il silenzio interrotto solo dalle foglie calpestate. Ogni sala del museo illustra l’utilizzo che può avere la merda: lo sapevi quanti oggetti si possono ricavare dal letame?
Gianantonio Locatelli ha brevettato la Merdacotta, un sistema in cui il letame viene scaldato a più di mille gradi risultando simile all’argilla, senza però le necessità di estrazione: un esempio del risultato finale è allestito nella prima sala, in cui viene riproposto un normale salotto arredato con tavolo, sedie e vasi fatti di questo materiale. Grazie alla sua scoperta è riuscito ad aggiudicarsi il premio come miglior oggetto di design alla prima edizione del Fuorisalone a Milano, battendo concorrenti internazionali di primo livello.
Leggi anche: Cosa vedere a Parma
@Lifegate, Museo della Merda
Non solo design ma anche riferimenti alla storia. La parete di una sala è occupata da barattoli di vetro riempiti con elementi vegetali misti al “digestato” prodotto a Castelbosco, su cui sono poste etichette in latino: esse sono riprese dall’opera enciclopedica Naturalis Historia, scritta da Plinio il Vecchio, in cui l’autore descrive, tra l’altro, ricette e decotti curativi con l’uso dello sterco.
Le sale del museo sono state mantenute volutamente rustiche per essere coerenti con la protagonista degli allestimenti, che troviamo non solo negli oggetti ma anche nei muri: vere e proprie colate di letame “decorano” e “intonacano” le pareti! Dai tempi più antichi lo sterco era utilizzato come materiale edile, perché era facile da reperire e facilmente modellabile. In una sala troviamo al centro la riproduzione di una capanna, simile a quelle costruite nell’epoca villanoviana, dalle pareti con mattoni fatti da paglia e sterco essiccato e il tetto composto da fascine.
Nella stessa sala sono presenti due lavori dell’artista Claudio Costa scelti apposta per dialogare con la capanna perché analizzano il lavoro di diverse tribù e il loro rapporto con gli strumenti da lavoro, come in Capanna a Ksar Esegir (Tangeri) Marocco (fotografia e tecnica mista) in cui viene analizzato lo sviluppo di una capanna in nove immagini attraverso appunti degli elementi naturali utilizzati. Sempre a proposito di natura, il Museo ha dedicato una bellissima sala alla figura dello scarabeo stercorario che rappresenta anche il logo del museo. Questo animale era molto importante per la civiltà egizia perché era connesso alla rinascita e all’immortalità del Sole ed era raffigurato nell’arte come un uomo con la testa di scarabeo; la sua figura è altresì significativa per la natura perché pulisce la superficie dallo sterco evitando la formazione di agenti parassitari e la sua attività di scavo aumenta la porosità della terra favorendo le infiltrazioni d’acqua. In questa apposita stanza, le teche entomologiche dialogano con un video che riproduce l’attività di questa specie di scarabeo.
Leggi anche: Cosa vedere a Reggio Emilia
@Museodellamerda.org
Passando per le altre sale, come non terminare il percorso nella Wunderkammer del museo? Di certo gran parte degli oggetti presenti sono in linea con l’idea della “camera delle meraviglie”, come luogo di raccolta di oggetti naturali e artificiali. L’installazione centrale della stanza è stata ricavata in un’antica vasca di legno ed è costituita da varie piante carnivore provenienti da diverse zone della Terra: per assenza di sostanze nutritive queste piante hanno sviluppato un impianto digerente per cui assorbono le proteine catturate dagli insetti che mangiano.
Alle pareti sono appese 22 fotografie, scattate da Luigi Ghirri, che fanno parte del progetto Alfabeto di Claudio Parmiggiani: sono immagini tratte dalla collezione di Lazzaro Spallanzani, naturalista e biologo del XVIII secolo, ospitata presso i Musei Civici di Reggio Emilia, quindi una sorta di “museo in un museo” e un omaggio al fondatore della biologia sperimentale.
Perché visitare il Museo della Merda a Piacenza?
Il Museo della Merda a Piacenza è un museo innovativo sotto molti punti di vista, che ha saputo valorizzare con originalità e intelligenza un elemento del genere, ribaltando la concezione di museo come tempio sacro dell’arte. Camminando per le sale si percepisce la filosofia di questo posto: il letame come elemento nuovo, portatore di novità e dagli innumerevoli utilizzi. Il Natale si avvicina e cresce l’ansia per trovare il regalo perfetto: sappi che il museo è dotato di un fornitissimo shop, lo “Shit Shop”, in cui troverai tante idee, dalla tazza al vaso fino al concime, il Merdame. Concludo così, lasciandoti con una domanda: provocazione o coraggio di chiamare le cose con il proprio nome?
PH copertina: @Museodellamerda.org