Genova è un dettaglio

Sono stata a Genova 3 volte nella mia vita. Alla fine di ognuno di questi 3 viaggi mi sono sempre chiesta in che modo potessi descrivere Genova, che consigli potessi dare, che cosa avrei detto di non perdere. Tutto però mi è sempre sembrato troppo riduttivo, perché Genova non si può rinchiudere in una semplice guida per un week end o un itinerario da percorrere in modo disciplinato per scoprirne le sue bellezze storiche e artistiche.

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Questo è un post su Genova in cui i consigli di viaggio ci sono, ma sono da leggere tra le righe, in cui credo sia più importante dare spazio alle impressioni a caldo di una città controversa e complicata, piuttosto che a indirizzi da segnare e posti da non perdere (dove mangiare ve lo dico subito però, l’enoteca Ai Troeggi con vini e birre artigianali).

Genova per me è semplicemente questo.

Muro scrostato. Pezzi di mattone. Una maglietta che si lascia trasportare dal vento tiepido di un febbraio che si finge altro, altre stagioni, altri cieli. Pantaloni, vestiti che cadono nel vuoto, sfidando ogni istante gli attimi di vita che scorrono sotto di loro.

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In Piazza Vacchero, da sempre posto di perdizione e rivoluzione c’è una scritta in vernice nera

[blockquote text=”…ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane. Ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame…” text_color=”” width=”” line_height=”undefined” background_color=”” border_color=”” show_quote_icon=”no” quote_icon_color=””]

 

Simbolo dell’anarchia. Contro tutti, contro tutto. È la logica della città, è il suo ritmo di vita. Contrasti su contrasti, un intreccio che sfila dalle rocce al mare, un labirinto di case e palazzi nuovi e antichi. Da via del Campo e dai tre rioni che la compogono: Pré, Molo e Maddalena, partono sentieri bui, maleodoranti, che cadono a pezzi, ma tanto in alto il cielo è azzurro. Guardando in alto, c’è sempre la luce. Una luce che pare quasi fuori luogo, in quei vicoli dove il medio oriente è diventato di casa, dove pare di catapultarsi a Istanbul, tra Kebab, macellerie musulmane, call center, parole arabe. In quei vicoli in cui tutti dicono “è meglio non addentrarcisi di notte”, in quei vicoli in cui le difficoltà della vita corrono libere, per cui è sempre bene guardarsi alle spalle.

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Una città poetica, per definizione. Coronata di una tale decadenza, che la rende sorprendente in ogni dettaglio. Ricchezza e povertà. Arte e miseria. Moderno e depauperato. Così non è difficile trovarsi in via XV Aprile, la più elegante di tutta Genova e gettare l’occhio sul vicoletto buio e sgangherato che si trova nella laterale destra. Eleganti signore in tacchi, spacciatori tunisini.

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Poi ancora se si sale nella parte alta, si respira e si guardano i vicoli che si incastrano tra di loro, come bravi spettatori di un film seduti comodamente nel parco del Museo di Villa Croce o nella Spianata del Castelletto.

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Genova è un dettaglio. Non è né bella, né brutta. È un mondo. Un universo incredibile in cui tutta la logica che regna normalmente nelle altre città italiane, scompare come se non avesse in realtà senso di esistere. Le urla e gli schiamazzi di bambini che giocano a pallone nelle vie, i panni stesi, una vespa parcheggiata sul lastricato: fotografia di un istante italiano. Fotografia di dettagli di vita quotidiana, tra le sue mille difficoltà e gioie, perché basta rincorrere un pallone per cambiare il volto di un destino.

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Nella mia mente, sono impresse solo una serie di immagini, di scatti, di istanti, di sguardi. Attimi che regala, attimi che toglie, questa è Genova. Poi appena usciti dal centro storico, ecco di nuovo che torna a stupire con la sua imprevedibilità e ti presenta un Boccadasse così accogliente e armonioso, da non sembrare nemmeno Genova, ma un angolo di Cinque Terre.

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Boccadasse è il quartiere tradizionale di pescatori, lo scorcio da fotografia, l’italianità per eccellenza. Fuori dal tempo e inaspettato con i giusti stereotipi che lo fanno amare ancora di più: la gelateria più antica di Genova, con annessa fila chilometrica di turisti in attesa, i ristoranti di pesce sulla spiaggia tutti intitolati a De André, i bar affollati per gli aperitivi.

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Poi dietro l’angolo c’è quel cancello arrugginito che nessuno vede mai. Quel balcone con divieto di sosta, che regala una vista incredibile su tutto il golfo. Quella fila di panni stesi con le pecorelle disegnate. Quel cartello con scritto “acque inquinate, divieto di balneazione”. Le corde dei pescatori usurate dal sale, le barche scrostate, le maniglie vecchie, di poco pregio, arrugginite. I silenzi inaspettati dei vicoli al di fuori dalle file dei turisti. C’è solo una costante in tutto questo altalenare di contraddizioni: Genova è un dettaglio, Genova è i suoi dettagli.


PH copertina: Travel on Art

 

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