Il testamento artistico di Francesca Woodman
L’assenza e l’ironia, il bianco e il nero, il corpo femminile: Francesca Woodman corre, si arrampica, sfugge. Proprio questa sua irrequietezza, a mio parere, l’ha resa una delle fotografe più interessanti di questo secolo, oltre che la mia fotografa preferita. Nata in una famiglia di artisti, papà George era un pittore e mamma Betty una ceramista, Francesca ha scoperto la fotografia molto giovane, sviluppando i primi lavori a soli 13 anni. Una delle sue compagne di classe la ricorda come una ragazza sofisticata, da tutti ritenuta un’autentica artista nonostante l’età.
@Francesca Woodman
Quasi tutte in bianco e nero e scattate tra il 1972 e il 1982, le sue opere hanno indagato la femminilità, il corpo e le sue movenze, in gran parte attraverso autoritratti di piccolo formato. Usando esposizioni lunghe o doppie esposizioni, che le permettevano di partecipare in prima persona all’impressionamento della pellicola, i suoi scatti rivelano un talento innato per la composizione e l’uso della luce. La sua figura, e quella degli amici che hanno posato come modelli, è spesso accompagnata da vecchi mobili, muri scrostati dal tempo e specchi.
“Io vorrei che le mie fotografie potessero ricondensare l’esperienza in piccole immagini complete, nelle quali tutto il mistero della paura o comunque ciò che rimane latente agli occhi dell’osservatore uscisse, come se derivasse dalla sua propria esperienza.”
@Francesca Woodman
Delicata e bellissima, eterea e carnale, Francesca Woodman è stata mitizzata dalle femministe, rendendola un loro idolo. Una reinterpretazione del corpo femminile, distaccata dal becero mondo maschile. Secondo loro. Non secondo me. Rinchiudere la Woodman in un recinto di identità di genere, mi sembra un’operazione troppo superficiale perché il suo mondo è molto più intimo e complesso. Lo stesso autoritratto, da molti considerato un vezzo tipicamente femminile, non è affatto una concessione al narcisismo e alla vanità, ma piuttosto un modo per scoprire se stessa e provare a conoscersi meglio.
Leggi anche: Ilaria Facci e il nudo come racconto fotografico
“Some disordered interior geometries” è il titolo della sua sola raccolta realizzata in vita: un racconto voluttuoso e distante, all’insegna di immagini potenti. Una serie di fotografie che si relazionano ai precetti di un vecchio libro scolastico di geometria in forma di elaborazioni complete di concetti ideali: qui Francesca non espone il suo corpo nudo in quanto sovrastruttura culturale, ma lo utilizza in relazione all’ambiente naturale e architettonico circostante. Le sue braccia si trasformano in alberi, il suo corpo diventa tutt’uno con un vecchio muro usurato dal tempo: la femminilità si mescola al contesto esterno in cui è inserita, rievocando un rapporto intimo e personale con il paesaggio.
@Francesca Woodman
“Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate.”
Morta suicida a soli 22 anni, pochi giorni dopo la pubblicazione della sua prima raccolta, il mondo ha perso un’artista complessa e misteriosa, che ha saputo coniare un personalissimo modo per esprimere la sua interiorità. Fotografie indelebili, opere d’arte premeditate e colte, frutto di un pensiero preciso: i suoi scatti restano il testamento più autentico che ci abbia lasciato, un patrimonio inestimabile.